a cura di Matilde Fallerini

Aprile 2021

RIETE DDE NOJANDRI

LE CHIESE SCOMPARSE: SANTA MARINA E POI SAN CARLO

città, storia, storie

di Matilde Fallerini - Andando verso la piazza, passato l’incrocio di via Garibaldi con via San Francesco, sulla sinistra c’è via Crispolti, un tempo chiamata via San Carlo (sono ancor oggi denominate così le scalette che da questa via scendono in via Pellicceria). Imboccando la via, prima del palazzo Potenziani, c’era la piccola chiesa di Santa Marina. Era situata sul costone roccioso che, sul versante sud della città costituiva in età romana la cinta muraria. Sono visibili ancor oggi, in via San Francesco, le scalette che, in epoca successiva, mettevano in comunicazione il Rione detto “ in onda” (San Francesco, per le rovinose pianare), con via San Carlo e la chiesetta di Santa Marina. Santa Marina era situata vicino alle case della famiglia Pasinelli che imparentatasi con la nobile famiglia Fabri, costituirono il palazzo (Fabri di Porta Carceraria dentro) che poi divenne dei Potenziani. La chiesetta è ricordata nella bolla di AnastasioIV del 1153 già come parrocchia e nel 1236 è menzionata come Santa Marina in Porta Carceraria. Essendo una chiesa molto piccola il popolo la chiamava Santa Marinella. Nel 1574 la parrocchia contava 24 famiglie ed era ridotta in uno stato miserevole. Già nei primi anni del ‘600 non vi si celebrava più la messa e pertanto fu unita alla chiesa di San Giovenale. Intorno al 1605 si fecero dei lavori di restauro delle mura, lavori che portarono al tamponamento dell’arco di valico, sull’ intonaco interno del quale venne eseguita una sinopia (ocra rossa utilizzata dai pittori nell’antichità per eseguire sull’ intonaco la traccia della pittura da eseguire) con la prospettiva di colonnato e nello sfondo un profilo di altare. Nel 1614 si era costituita in San Giovenale una confraternita sotto il titolo di San Carlo Borromeo e la chiesa anch’essa non molto grande, divenne troppo stretta per ospitare parrocchiani e confratelli. Così nella visita del cardinale Di Bagno (1637) si constatò che il luogo era angusto, e fu ceduta alla confraternita la chiesetta di Santa Marina con la casa annessa e in questa occasione la chiesa perdette l’antico titolo e assunse quello di San Carlo. La confraternita ebbe numerosi sussidi da parte di privati e del Comune e fu riparata la campana e il gonfalone che veniva portato nelle grandi processioni dai confratelli vestiti di bianco con la mozzetta rossa. Nel 1840 il vescovo Curoli, viste le precarie condizioni della chiesa dovuti anche ai forti terremoti che negli anni passati danneggiarono la città, decise di venderla alla famiglia Potenziani. Un sacerdote Don Carlo Cavalieri, che abitava nelle vicinanze della chiesa, saputa la notizia, supplicò il vescovo di non farlo, ma cederla a lui impegnandosi a restaurarla a sue spese. Il vescovo accondiscese e San Carlo/ Santa Marina fu rimessa a posto, e vi si celebrarono  messe in tutte le solennità dell’anno e nelle feste dei titolari della chiesa, oltre che pagare il canone dovuto alla chiesa di San Giovenale. Dopo la soppressione delle confraternite la chiesa venne chiusa e venduta al principe Potenziani che la convertì in magazzino, autorimessa, officina. La campana fu data a Giuseppe Ferrari che la mise nella nuova chiesa dell’Annunziata, costruita accanto alla sua villa (lungo la strada della Foresta). Oggi ciò che resta della chiesa di Santa Marina è stato recuperato quando il palazzo Potenziani fu acquistato dalla Cassa di Risparmio, oggi è sede della Fondazione Varrone.

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