Giugno 2024

STORIE

L’OMAGGIO DEL DR. MARIO SANTARELLI A SANTA RUFINA

Tra storia, memorie, tradizioni e ricordi

cultura, libri, provincia, tradizioni

“Ho avuto la fortuna di nascere, crescere e vivere in un paese di campagna, Santa Rufina” - scrive nella prefazione di quello che è un libro che incanta e sorprende il dottor Mario Santarelli  conosciuto finora come autore di pubblicazioni scientifiche legate alla suo ruolo di primario di Radioterapia presso l’ospedale de Lellis di Rieti - “A un certo punto della vita ho avvertito la necessità di lasciare un segno per non dimenticare quella che è stata un’epoca particolare, dal dopoguerra agli anni della prima industrializzazione del nostro territorio, il passaggio da  una società contadina ad una preindustriale, determinando uno sconvolgimento di usi costumi e tradizioni che vale la pena ricordare, un passato non banale poiché li affondano le nostre radici” spiega a Format.

“Un’operazione fatta col cuore. Avevo da tempo in mente le situazioni, i personaggi, gli eventi, bene impressi e delineati. Nel corso di tre anni in cui ho utilizzato ogni ritaglio di tempo a disposizione, ho iniziato a mettere ordine e a ricercare capillarmente quanti potessero dare un contributo a questo ricordo. Credo di essere riuscito ad offrire un prodotto accessibile a tutti, il cui ricavato verrà impiegato per il restauro dell’organo della Chiesa di Santa Rufina. Ognuno potrà scegliere il capitolo più congeniale per ricordare con un pizzico di nostalgia e commozione un’epoca che non c’è più. In copertina c’è scritto ‘Santa Rufina’ ma potrebbe trattarsi di qualsiasi altro paese della nostra provincia: una società che, tra il sacro e il profano, viveva tutto l’anno secondo il calendario religioso e quello della vita agreste.”

Sfogliamo insieme all’autore questo libro, dalle dimensioni corpose, composto da 456 pagine, ben impaginato: 12 capitoli partendo dai primi insediamenti, dipanandosi tra mito e leggenda, per poi compiere un viaggio nel tempo punteggiato da foto a colori o in bianco e nero, passando attraverso una rivoluzione economica, sociale, culturale tra fermento politico, presenze significative e venti di protesta, fino ad arrivare agli anni Sessanta e alla conseguente rivoluzione. “Le nostre erano radici povere che hanno determinato il fenomeno, assai diffuso nella nostra provincia, dell’emigrazione. Nel dopoguerra fino ai primi anni Cinquanta partirono tanti ragazzi verso altre realtà, soprattutto quella romana. Alcuni iniziarono a lavorare nel settore della ristorazione, iniziando dalle mansioni più semplici per poi arrivare alla titolarietà di trattorie e ristoranti. Tra questi la ‘Rupe Tarpea’ di Lino Cruciani, o ‘Angelino ai Fori’, uno dei locali certificato come ‘primo locale storico della città di Roma’, realizzato da santarufinari come Angelino Giraldi e tuttora tenuto dai nipoti Angelo e Vincenzo, due persone straordinarie fiere delle proprie radici”.

Tutte le famiglie del paese alla fine si assomigliavano, sia nell’organizzazione che nell’attività lavorativa quotidiana mirata alla sussistenza. Parte da papà Quinto e mamma Santina il dottor Santarelli ma lo sguardo spazia e abbraccia nonni, zii, cugini, come occasione di riflessione e pretesto per parlare di infanzia, di giochi, di scuole, della celebrazione dei primi sacramenti, dei matrimoni e di come venivano combinate le unioni, per poi allargarsi a macchia d’olio ed includere centinaia di persone e personaggi collocandoli all’interno del racconto infinito che è la vita.

A Santa Rufina, come in tanti altri luoghi, la tipologia delle abitazioni è stata per lungo tempo simile a quella dell’Ottocento e dei primi del Novecento: casolari isolati o case addossate le une alle altre caratterizzate da una grande cucina. La maggior parte degli uomini era impegnata nella vita di campagna. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Settanta, con il lavoro che cambia, appaiono attività produttive di un certo rilevo: le Fonderie F.lli Catini, la F.lli Bosi legnami, la F.lli Torda, i F.lli Aguzzi, Tosti legnami, i manufatti Bellini e Trinchi, quelli di Angelo Pezzopane, dei F.lli Scanzani che si affiancano a quelle artigianali della famiglia Stollagli o dei F.lli Santarelli.

Intanto il suono delle campane scandisce i ritmi del giorno lavorativo e di quello di festa, anche invocate dalla popolazione che temeva di perdere il raccolto a causa di grandinate o temporali, caratterizzando la vita in paese regolata durante tutto l’anno dagli appuntamenti e dalle ricorrenze: dalla Pasquarella alla Distribuzione della colenna dopo la  messa, dai Mascari alle Quarant’ore, dal Salto del falò alle vacanze, alla mietitura, alla vendemmia, alla raccolta delle castagne, delle olive, al quatrinello e, soprattutto, all’uccisione del maiale, uno degli eventi laici più importanti dell’anno. “Era necessario che la luna fosse mancante, poiché la tradizione popolare affermava che la carne sarebbe andata a male in caso contrario”.
"Mio padre era un campanaro di quelli provetti, aveva una tecnica che lo rendeva immediatamente riconoscibile. Le campane potevano suonare singolarmente oppure 'in concerto': i suonatori erano visti dai bambini con rispetto ed ammirazione ed erano considerati come eroi. Io ho avuto la fortuna di poterlo accompagnare più volte sulla torre campanaria, rimanendo rannicchiato in un angolo ad osservarlo". Il dr. Santarelli ricorda nel suo libro la tecnica utilizzata ed  il gruppo di altri bravi campanari, accompagnandoli con i loro soprannomi. 

Il tempo scorreva tra un bicchiere di vino nei bar, nelle osterie, durante una partita a carte, tra un’imprecazione e l’altra (anche queste doverosamente elencate dall’autore!), lamentandosi per qualche malanno per il quale non si era soliti chiamare il medico ma qualcuno esperto nella combinazione dei prodotti più naturali: malva per il mal di denti, ‘fumenti’ per raffreddore, sanguisughe per la bronchite, patata per la cefalea e ‘chiarata’ da zia Pasquetta per le storte, giungendo a veri e propri riti per contrastare l’avverso destino, quelli per il malocchio. Fino ad arrivare al disagio psico sociale che determinava spesso l’internamento nei manicomi di persone che avevano tutt’altre patologie. La storia è quella di Domenico che tutti conoscevano anche a Rieti come 'Niru Miciu': un paziente che si ricopriva di cenere all’ingresso dell’ospedale psichiatrico ricoverato a seguito di una pesante depressione. Con lui si apre il capitolo dedicato ai personaggi caratteristici, quelli che tutti gli abitanti ricorderanno con una certa commozione.

“Questo libro verrà presentato in coincidenza con il Raduno degli Alpini il 15 e 16 giugno in omaggio a mio padre membro del Gruppo Alpini di Santa Rufina, fondato da don Angelico Vanni. Dedico questa pubblicazione alla mia, alle nostre famiglie, a coloro che ci seguiranno. Auspico che i più giovani possano avere il giusto rispetto ed apprezzamento per i sacrifici e per la storia di chi li ha preceduti e che, nei momenti di smarrimento, possano ricordarsi che lì, in un angolo della libreria, c’è un pezzo della loro storia e delle loro radici. Se lontani si sentiranno meno soli e, se avranno la voglia o il desiderio di tornare, sapranno che la nostra terra sarà sempre lì ad aspettarli”.

S. Santoprete

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