(di Maurizio Festuccia) Continuando a percorrere la ormai lunga strada che solca i vari comparti della fotografia a Rieti, incontriamo un altro amico, Enrico Ferri, oggi affermatissimo professionista del settore da molto tempo. Il nostro incontro si è articolato su vari aspetti della fotografia, per questo ho deciso di dedicare al suo profilo due differenti puntate. Questa la prima.
Enrico, anche chi oggi ne ha fatto una professione a tutti i livelli, si è avvicinato alla fotografia per i motivi più disparati. Qual è stato il tuo?
"Inizialmente nasce come passione. Nel mio caso, essendo un amante della natura a 360°, appassionato di sport all'aria aperta, l'utilizzo della fotografia ha costituito da subito un'esigenza documentale. Nel mio paese natìo, al Cicolano, non c'era molto da fare in età adolescenziale e solo grazie ai primi soldi guadagnati come bracciante agricolo nelle campagne romane, riuscii ad acquistare la mia prima compattina fotografica di plastica, una Kodak Instamatic con pellicola a cassetta e cuboflash, ma ancora non era matura in me l'idea di proseguire quella passione. Quando, invece, iniziai ad avere un rapporto più diretto con la montagna, nel primissimo 1980/81, l'esigenza di "raccontare" quel che vivevo nelle mie escursioni, si fece forte addirittura indispensabile. Complice anche l'esempio di mio fratello che già stampava da se' le proprie fotografie in casa, la passione cresceva sempre più fino a farla diventare un mezzo di lavoro.
Andiamo sullo specifico dei tuoi primi approcci alla fotografia.
Nell'82/83 acquistai la mia prima Nikon di una certa caratura, un FM2 rigorosamente manuale, adatta per gli scatti in bianco e nero, subito dopo comprai una FE2, la mia prediletta, che grazie al suo esposimetro ad ago mi permetteva un controllo dell'esposizione precisissimo e adatto in particolare per le diapositive. Fui uno dei primi ad utilizzare le pellicole Fuji Velvia per la particolare resa cromatica "fredda" che trovai immediatamente ideale per gli obiettivi Nikon che utilizzavo, mentre per in bianconero preferivo di norma Kodak e la IlfordP2, per non parlare della insostituibile, straordinaria Kodak TMax 3200: una pellicola che mi ha entusiasmato da subito per gli scatti ad alte sensibilità, una compagna di lavoro preziosissima.
Poi c'è stato l'inevitabile salto verso la professione.
Il passaggio dalla "passione" alla "professione" per me ha una data certa: quella del 1984 in coincidenza con la mia spedizione in Groenlandia. Il mio ruolo in quell'avventura era di reporter e la scintilla, il pensiero di far diventare professione quella mia dedizione inclinazione iniziò a prender vita concreta. L'anno successivo, in Kenya, ho collaborato con uno studio di Roma per accrescere le mie cognizioni ed iniziare a prepararmi per bene affinché potessi, di lì a poco, aprire uno studio tutto mio e dar luce alla professione a tutti gli effetti. Nel mentre svolgevo all'epoca altri lavori, mi sono messo sotto a studiare il mondo della fotografia, a sviluppare, stampare in proprio. Nell'86 gestivo il Rifugio al Terminillo e lì allestii una mini camera oscura una stanzetta della struttura: ore ed ore, rubate al mio tempo libero, ad imparare a stampare il bianconero.
Qui la consacrazione dell'aspetto lavorativo del tuo cammino.
Ero determinato, volevo fare proprio quel mestiere, vivere solo di quello, gettarmi a capofitto nella fotografia professionale, e nel primo approccio con l'apertura al pubblico di un locale, l'epopea del primo negozio di via Terenzio Varrone mi vide succedere, assieme a Fabrizio Naspi, al primo gestore Tavani, al secondo, Giorgio Persieri, al terzo Tullo e Jimmy. Ma l'esigenza di avere uno studio fotografico tutto mio, un laboratorio che mi rappresentasse totalmente, mi fece poi aprire i battenti allo Studio Fotografico "Controluce", il primo con una vera sala pose allestita di tutto punto ed un efficientissimo banco ottico per pellicole piane.
Quando parli di mestiere, ti riferisci anche ai servizi per cerimonie?
C'è stato un periodo in cui mi occupavo di diversi settori: foto pubblicitaria, industriale, d'ambiente, reportage, ecc. ma fino ad un certo punto realizzavo anche servizi per cerimonie. Questo settore per me è stato sempre controverso. Rispetto alle fotografie di rappresentazione di un matrimonio, personalmente ho una visione un po' diversa dal canonico modo di interpretare questo servizio. Ho fatto sempre un po' di fatica solo da questo punto di vista non certo da quello professionale; sebbene la foto di cerimonia sia stata sempre ritenuta un lavoro di serie B, io non ho mai avuto questa concezione perché ritengo che ci siano ottimi fotografi che realizzano servizi matrimoniali straordinari di alta caratura professionale ed altri meno. Può non sembrare così ma il settore della foto di cerimonia è difficilissimo, complesso ed articolato perché si devono realizzare tanti scatti, fati bene ed in tempi rapidissimi: devi intenderti un po' di ritrattistica, di moda, d'ambiente, di circostanza, di reportage... c'è un po' di tutto. La foto da cerimonia è sempre stata inflazionata da una fetta consistente di professionisti che spesso non sapevano nemmeno quel che facevano... foto oscene, vergognose. Per questo si era diffusa l'idea che il fotografo che viveva di soli servizi matrimoniali, fosse un professionista "minore" quando in realtà proprio questa branca della fotografia è stata sempre la voce più importante del mercato. Insomma, la fotografia per cerimonie costituiva una sorta di "calmiere" per i prezzi correnti. Questo aspetto ha determinato nel mio lavoro sempre una sorta di iniziale riluttanza da parte dei clienti quando venivano a conoscenza dei costi di un mio servizio anche relativo ad una sola foto: a volte ci vogliono giorni e non istanti per portare a compimento in modo eccellente uno scatto e, purtroppo, i costi non possono essere uguali né messi a paragone, casomai parametrati in base ad una serie di variabili evidenti, specialmente nella resa finale.
Sei sempre stato etichettato come fotografo di nicchia, un po' introverso, sulle tue. Un professionista bravissimo ma poco incline al contatto, al dialogo aperto con gli altri del settore. E' così?
"So che nel panorama fotografico reatino si respira questo sentore sul mio conto forse anche perché ero incline a fare lavori in cui altri non si cimentavano: ho spesso lavorato in giro per l'Italia, realizzato servizi di una certa importanza, ho pubblicato libri... Ritengo invece che questa nomea abbia un rovescio della medaglia del tutto opposta: non mi sono mai permesso di criticare il lavoro degli altri, anche negli incontri con i miei colleghi ho sempre cercato di rispettare il prossimo. La verità è che non riuscivo a trovare punti di incontro con un certo tipo di operatori del settore: il mondo fotoamatoriale, ad esempio, mi è distante anni luce benché riconosca che esistano ottimi fotografi, forse migliori degli stessi professionisti, ma è un approccio che sento estraneo. Nella fotografia cerco sempre qualcosa di più profondo ma soprattutto ritengo che chi si occupa di fotografia dovrebbe avere una cultura generale dell'immagine e non può essere un ignorante delle arti visive. Uno dei miei fondamentali temi di interesse è sempre stato la psicologia della percezione visiva ed anche nei miei corsi che tengo periodicamente, non focalizzo mai l'attenzione sulla tecnica fotografica, che ritengo chiunque possa apprendere da sé, ma miro ad oltrepassare questa soglia per concentrare l'attenzione di chi mi ascolta sulla capacità di esprimere qualcosa di più, di realizzare un'immagine di una profondità diversa. Per fare questo ci vuole conoscenza, cultura, studio... è un lavoro paziente, lungo che non finisce mai. Per questo, con gli altri, viaggiavamo su lunghezze d'onda diverse: sentir parlare dell'ultimo modello di un supermacchina fotografica mi annoia profondamente perché non è questo che cattura il mio interesse, preferisco guardare oltre. La qualità di un equipaggiamento è fondamentale ma solo per garantirti l'eccellenza dello scatto non ti offre certo la scelta del soggetto, dell'immagine da ritrarre. Ed io voglio concentrarmi solo su quello: su ciò che mi dà e che riesce a trasmettere un'emozione forte.