a cura di Maurizio Festuccia

Giugno 2018

SCATTO D'AUTORE

GIANLUCA VANNICELLI

Obiettivo nel mondo del professionismo

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Già numeri fa, con qualche personaggio locale della fotografia, siamo entrati nel merito del professionismo. Ma il mestiere nasce sempre da una passione, oltreché da un'esigenza, e sfido chiunque a trovare un professionista in questo settore che non abbia dapprima corteggiato, fidanzato e poi sposato questa passione. Un amore che nasce da lontano, che s'insedia silente come un virus impossibile da debellare. Stavolta è il turno di Gianluca Vannicelli, socio di Rietilife, coriaceo reporter dei fatti quotidiani della nostra città ma non immune da un trascorso fotografico da romantico dello scatto.

 Quando è nata per te questa passione, come e perché?
"E' nata nella seconda metà degli anni '90 perché mio padre era appassionato di fotografia e mi ha trasmesso questa passione. Ho ancora la sua macchinetta, una Yashica FXD Quatz, ovviamente analogica, che mi iniziò a questo affascinante mondo. Frequentai un corso di fotografia indetto dalla Regione Lazio ed Unione Europea tra il 1999 ed il 2000 e tra i professori c'erano Emiliano Grillotti, Italo Salvemme e Giuseppe Di Caro: due di loro, persone fondamentali per quello che sarebbe stato il mio futuro in questo settore. Era un corso molto lungo, impegnativo e ben articolato e da lì nacque il mio presente. Iniziai a dare una mano nel laboratorio/negozio di Italo e, col tempo arrivai alla redazione di Rietilife del mio amico di sempre, e socio odierno, Emiliano."

Sebbene oggi sia la tua professione, come si è evoluta nel tempo questa passione? A cosa.. mirava il tuo 'obiettivo'?
"Sono stato da sempre appassionato alla foto naturalistica e paesaggistica ed ancor oggi non tradisco i miei originari indirizzi. Quando quotidianamente mi recavo a L'Aquila per l'università, nascondevo agli occhi di mio padre, tra i libri nello zaino, la macchina fotografica e me ne andavo in giro a fare diapositive. Ma una delle foto paesaggistiche a cui sono maggiormente legato la scattai qui, alla Piana di Rascino, per presentarla ad un concorso: vinse il terzo premio.

Hai qualche punto fermo di riferimento tra i grandi interpreti della storia della fotografia?
"Negli ultimi tempi sto rivolgendo maggior attenzione alle opere di Sebastiao Salgado, il "principe del bianco e nero", in particolar modo verso la sua "Genesi" dove in 200 foto uomini ed animali raccontano il mondo. Ma in verità, oltre questo autore, non sono mai stato attratto da altri fotografi in particolare."

Qual è, a tuo avviso, la cosa più difficile nel mondo della fotografia?
"Quella di cercare, attraverso la foto, di far giungere, di trasmettere a chi la guarderà, la stessa emozione che ha suscitato in me, lo stesso messaggio che mi arrivava al momento dello scatto. Secondo me è questa la cosa più difficile perché non sempre il metro di giudizio delle persone collima con il tuo. Sebbene sia sempre soggettiva, ascolto sempre con molta attenzione una critica da chi guarda le mie foto: del resto i destinatari sono loro e se riesco ad emozionarli, o deluderli, è bene ascoltare il loro pensiero per crescere o correggere il tiro."

Quali foto ami guardare degli altri?
"Niente da fare, torno sempre ad essere attratto dalle fotografie paesaggistiche. Di chiunque, amatori o professionisti, sono quelle che più di qualunque altra, catturano la mia attenzione e la mia ammirazione. Sarò un romantico ma quando mi imbatto in albe, tramonti, notturni, laghi, mare, montagne... è più forte di me, non posso sottrarmi.

Tu sei un "Nikonista". Riesci a spiegarci la differenza con un "Canonista"?
"Secondo me è una questione di 'fede', un po' come tifare per una squadra o per un'altra. Senza entrare troppo nell'aspetto tecnico, è ovvio che ci siano delle differenze. Sentendo il parere di alcuni colleghi, ad esempio, la foto di una Nikon ha i colori più vividi, marcati, a differenza di quelli più morbidi, meno violenti della Canon. Ma io ho iniziato con la Nikon e, seppur non riesca a spiegare meglio il perché di questa scelta, continuo a fidarmi di questa marca e non intendo cambiare. E' questione di gusti e, forse, di affezione nata in... tenera età."

Gianluca compirà 40 anni a Novembre; si è laureato nel 2005 in Filosofia con indirizzo storico ed oggi è nell'organico dello staff di Rietilife. Dagli studi scelti sembrerebbe che nulla avesse lasciato presagire l'approdo a questa attività professionale.
"In effetti è così. Non lo avrei mai pensato. Poi, invece, ho iniziato lavorando nel laboratorio di Salvemme dal 2000 al 2004 per passare a dare una mano ad Emiliano Grillotti per un quotidiano locale finché l'anno dopo, nel 2005, insieme decidemmo di dar vita alla prima ed unica agenzia fotografica PrimoPiano. In seguito, dal 2010, da una felice intuizione di Emiliano a cui inizialmente non davo molto credito per la verità, l'avventura con Rietilife ha preso il sopravvento su tutto ed oggi mi ritrovo ad esercitare questa professione assieme ad un gruppo di bravissimi operatori con i quali, orgogliosamente, dividiamo e condividiamo le continue soddisfazioni che questo impegno ci da quotidianamente."

Questo lavoro ti ha portato anche a contatto con realtà forti, provanti, umanamente tragiche. Seri stato uno dei primi a raggiungere Amatrice dopo la prima scossa del 26 agosto 2016. Come hai vissuto quei momenti?
"Se avessi fatto un altro lavoro, quella notte sarei rimasto a Rieti, fuori casa dalla paura ma mai avrei immaginato di ritrovarmi catapultato in quei luoghi, davanti a quella immane tragedia. Per quanto la tv possa farti vedere  le immagini, nulla è più crudo e drammatico dal vivere quella situazione con i tuoi occhi. C'è un abisso tra ciò che ti arriva dal teleschermo a quello che vivi direttamente sul posto. Noi siamo arrivati all'inferno alle 4,40 quando ancora non c'erano i soccorsi e quel che hai visto e vissuto in quel momento ti segna e ti segnerà per tutta la vita. Da subito,  la mia coscienza e l'inevitabile sensibilità umana che pressava non riuscivano a farmi svolgere il ruolo per cui mi ero diretto fin lì. Non riuscivo a scattare nemmeno una foto tanta era l'emozione, tanta la disperazione che vedevo intorno a me, nel buio di quella notte disgraziata. Poi, ore dopo, l'arrivo dei colleghi di tutte le altre testate da ogni parte d'Italia, hanno scaraventato anche me in quell'immane bolgia fatta di sassi, fumo, corpi, lamenti ed urla ma si notava chiaramente il 'distacco' professionale di chi veniva a compiere il suo mestiere da fuori ed il nostro rimanere quasi inermi davanti a quello scempio che ci aveva colpito da vicino, a pochi chilometri da casa nostra. Solo 3 giorni prima ero stato in quei posti per la gara "Amatrice-Configno" e poi... non c'era più nulla. Aver scelto questa professione vuol dire anche affrontare situazioni e vicende che spaccano il cuore e lacerano l'anima ma che ti chiamano al dovere di testimoniare. E', e sarà, il mio impegno di vita, oltreché il mio lavoro."

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