La sosta estiva della nostra rubrica vede giungere sotto i riflettori un altro fotoamatore del nostro territorio che, pur non volendosi definire "fotografo" ama talmente tanto questo modo d'espressione che non passa giorno senza portare con se' la fida macchinetta ovunque vada.
Gianni Cavoli, il professor Gianni Cavoli, è il testimone di turno di quanto possa essere vasto e variegato il mondo di chi ha fatto della fotografia una passione di vita come poche altre ce ne possano essere. Seduto di fronte a me nel suo bar d'attesa, di svago, di contemplazione della vita, di incontri tra amici e conoscenti, Gianni mi racconta il suo percorso nell'arte fotografica continuando a nascondersi dietro un velo di umiltà e di una sorta di "imbarazzo" perché continua ad ostentare la sua "non appartenenza" a questo settore che ha visto sulle pagine di Format esponenti di chiara fama e capacità, cose che - lui dice - non gli appartengono. Ritengo invece che ognuno, nel suo ambito, sia esempio di meritevole conoscenza ed approfondimento, inizio quindi a chiedergli, mentre lui si appassiona al dialogo.
Ricordi i tuoi esordi nella fotografia?
"Era nel 1992 che ho iniziato ad armeggiare con una macchinetta fotografica. Un viaggio in Calabria fu l'occasione giusta per approcciarmi a questo hobby che ancor oggi ritengo affascinante, stimolante e ricco di sorprese. Quei luoghi erano troppo attraenti per non ritrarli e portare con me quei ricordi.
Inizia con una compatta a rullino."
Quindi sei attratto, in primo luogo dall'ambiente, dalla natura.
"In primo luogo sì. Abbiamo una città bellissima, a mio avviso, e merita di essere fotografata in ogni suo anfratto, in ogni suo aspetto. E' un territorio di cui sono innamorato e spessissimo il soggetto dei miei scatti è proprio la mia città, Rieti."
Malgrado ciò, non disdegni i ritratti alle persone.
"In verità, se vengono bene, le foto a persone e personaggi della mia vita sono straordinari. Spesso ho regalato scatti al prof. Morsani, illustre artista della nostra comunità che, oltre ad essere un mio amico di vecchia data, ritengo sia una delle persone d'eccellenza contemporanea. Mi stimola ritrarre le persone, maggiormente se hanno un significato particolare nell'economia della vita cittadina in cui mi ritrovo quotidianamente. Penso, ad esempio, che uno degli ultimi scatti ad Andrea Milardi sia stato mio. Il dispiacere per la sua scomparsa fu enorme ma quel sorriso impresso nella mia macchinetta qualche giorno prima del suo addio a questa terra, rimarrà tra i ricordi più belli che avrò per sempre di lui, grande uomo che ha dato moltissimo alla sua, e nostra, terra.
Più che altro, però, sono spesso attratto dalle persone comuni: quadri di musica in strada, bambini, donne anziane. E' lì che ritrovo la spontaneità, la naturalezza di un gesto, di uno sguardo."
So che hai un aneddoto, raccontacelo...
"Da professore di ginnastica (amo il salto in alto, la specialità a cui ho dedicato una vita...) spesso frequentavo il Camposcuola Guidobaldi. Un giorno proprio lì mi rubarono la macchinetta con cui dividevo sempre le mie giornate. Cercai, domandai, indagai ma non uscì fuori. Giorni dopo, mentre ero intento a sceglierne un'altra in negozio, mi raggiunse la telefonata di Andrea Milardi per dirmi che... l'avevano ritrovata. Non era vero, ma me la volle regalare lui per quanto sapeva tenessi a quell'oggetto. Ed oggi, a tutt'oggi, è ancora qui, l'unica che mi porto dietro ovunque."
Utilizzi spesso i "social". Cosa pensi della loro utilità?
"Onestamente per me è un passatempo. Non mi sono mai ritenuto un fotografo ma mi piace condividere in rete quel che scatto. Provengo da una famiglia di marmisti ed anch'io ho continuato questa tradizione quando ero giovane. Acquistai un casaletto a Belmonte intorno al quale c'erano dei bellissimi sassi. Iniziai a scolpirli a dar essi una forma, quasi un'anima, e mi venne di fotografarli e metterli in rete, su mio profilo di Facebook. Mi accorsi subito di quanto era importante condividere col mondo "social" la realtà delle mie scelte. Da quel giorno non ho più smesso di "postare", e vedo che c'è apprezzamento per i miei scatti. Anche questo mi stimola a non fermarmi mai.
Sulla pagina di apertura della mia pagina c'è il ritratto di mio nonno artigiano intento a scolpire: sono orgoglioso di questo "biglietto da visita" particolare che narra e testimonia della mia famiglia di un tempo che fu."
Hai diviso e condiviso la tua vita nello sport e con lo sport. Non hai mai sentito l'esigenza di cimentarti in foto sportive?
"In verità non perdo mai l'occasione di scattare qualche foto nel campo d'atletica. I miei trascorsi come ex saltatore in alto fanno propendere la mia attenzione verso questa disciplina ed è lì, a fianco della pedana, anche del salto con l'asta, che puoi trovarmi intento a scattare foto, a ritrarre il gesto plastico, tecnico, atletico magari di un'impresa."
Hai mai scelto deliberatamente di prendere la tua fotocamera ed andare...?
"Qualche volta sì. Tenendo presente che il sole nasce ad est, dalla parte dal Terminillo, preferisco attendere il pomeriggio per i miei scatti preferiti, quando la luce regala all'ambiente un sapore diverso, particolare, irripetibile solo qualche minuto più tardi. Ad esempio, ultimamente sono salito al convento dei Cappuccini per fotografare il magnifico panorama della mia bella Rieti che si respira da lassù. Una beltà per gli occhi e per l'anima poter ammirare quanto affascinante sia il territorio in cui vivo, e viviamo, i giorni della nostra quotidianità. La nostra terra si presta a scenari suggestivi ad ogni cambio di stagione e questo, per me, è di grande stimolo. Ho un rammarico: mi piacerebbe tanto poter fare qualche scatto alla neve del Terminillo ma, lo devo confessare, non sono mai stato lassù nel tempo ideale per farlo."
Apprezzi anche soggetti in primo piano, i particolari ad esempio?
"Anche un'ombra suscita emozione in me e non disdegno spesso di seguire immagini simili.
Come dicevo, essendo amico fraterno del maestro Bernardino Morsani, sono stato di frequente nel suo studio, ed ogni volta trovo nelle sue opere uno spunto, un motivo diverso per fotografarle con intensità. Per me la fotografia è sì un'arte ma certo nulla a che vedere con la pittura, con la scultura, quella sì che è arte con la "A" maiuscola. Certo, parlo delle mie foto, ritengo siano poca cosa, un'arte "minore", se però dovessi confrontarmi con certi grandi autori, straordinari, che hanno fatto dei loro scatti delle opere memorabili, magnifiche, penso allora che anche lì, rasentare l'arte pura, non sia un traguardo distante. Spesso visito mostre di bravissimi fotografi ed ogni volta mi sento piccolo piccolo di fronte alla loro bravura; malgrado ciò cerco sempre di imparare, di migliorare, di confrontarmi per apprendere. Anche, soprattutto, in questo, l'umiltà dà un contributo fondamentale per crescere sempre un po' di più, nella vita come in questo fantastico hobby."
Maurizio Festuccia