“Ma no! Tuo figlio ha solo letto con fervore Harry Potter!Pe r lui la magia è o non è, fine! Insomma, sei un babbano che si traveste da mago!”
Questo illuminante commento squarciò all’improvviso la mia bacheca Facebook una sera di ottobre 2017.
Avevo da pochi minuti pubblicato su quel social una riflessione rassegnata sulla totale assenza di passione di mio figlio (11 anni) per l’illusionismo, a differenza di diversi suoi amici che invece ne sono attratti in modo travolgente.Le sue parole “Che gusto c’è nel fare un gioco sapendo che c’è un trucco!?” mi apparivano tanto definitive quanto inspiegabili, materialiste e incommentabili; scie di possibili contro-argomentazioni provavano a farsi largo nella mia testa, pronte a toccare le altissime vette del senso del magico, il valore della meraviglia, ecc. ecc. Poi, ecco arrivare quel commento…e tutto, all’improvviso, apparve sotto una nuova luce.
Lo sappiamo, il termine “babbano” nasce nella saga di Harry Potter: “babbani” sono coloro che sono privi di poteri magici. Da allora, questo termine è utilizzato da ogni prestigiatore del pianeta per identificare il pubblico profano, chi non è al dentro dei trucchi degli illusionisti. E così, “Babbano” è finito per diventare un termine ‘corporativo’: il solo pronunciarlo fa sentire i prestigiatori appartenenti a una cerchia ristretta di fortunati depositari di una conoscenza “esclusiva” e “preziosa”.
Ma spesso in cosa si traduce o rischia di ridursi questa conoscenza? Sovente (se pur naturalmente non sempre) nella padronanza (più o meno raffinata) di tecniche prestigiatorie, nel possesso di sfolgoranti attrezzi capaci di generare orgasmi in primis ai possessori, e via discorrendo.
Per noi “Babbani” sono coloro che non conoscono certi segreti… poi mio figlio mi ha fatto capire che “babbano” è colui che ha dimenticato il fine: la “Magia”, il senso del magico (declinato e trasmesso nei mille possibili modi).
E allora, quanti prestigiatori oggi non sono altro che babbani travestiti da maghi?
Potremmo rileggere con la stessa chiave anche il famoso brano dell’Apprendista Stregone (Faust - Goethe), così spesso invocato dai prestigiatori per tracciare la differenza tra il professionista della magia (“il vecchio maestro stregone”) e il dilettante (“l’apprendista stregone”). Eccolo:
Il vecchio maestro stregone se ne è andato via finalmente per una volta! Ed ora i suoi spiriti dovranno pur rivivere secondo il mio volere! … Ed essi accorrono! L’acqua scorre sempre più forte nella sala e sugli scalini. Che acque spaventevoli! - Oh signore e maestro! Ascolta il mio grido! - Oh signore, il bisogno è urgente! Quelli che io richiamai, gli spiriti, non riesco più a dominarli!”
Cosa dunque sono quegli “spiriti” che l’apprendista stregone non riesce a dominare tanto da subirne l’onda distruttiva? Certo: le tecniche magiche e la capacità di governarle…ma non basta. Per non rimanere apprendisti stregoni (o babbani), occorre anche restare connessi alla Magia; per farlo, dobbiamo interrogarci su due basilari domande (il vero segreto del Maestro): Chi sono Io? Qual è il mio Compito?
Ecco cosa chiedeva lo sguardo scettico di mio figlio di fronte a quel mago: Chi sei? Cosa vuoi dirmi? Perché meriti la mia attenzione?
Amici maghi (e non solo): ce le poniamo queste domande quando “creiamo”?