(di Massimo Palozzi) Sarà che l’ira è considerata un peccato. Sarà che dalle austere tribune curiali siamo abituati a sentire messaggi tanto dotti quanto pacati nei toni. Sarà pure che in tempi di urla sguaiate e di continui cedimenti alle contumelie diventa persino difficile notare frasi o cogliere espressioni sopra le righe, ma le parole venate di collera e sdegno con cui i vescovi delle aree terremotate si sono espressi per condannare la cancellazione degli emendamenti al Decreto Rilancio, hanno ricordato l’intemerata che Gesù stesso fece ai mercanti cacciandoli dal tempio.
Oltre a quelli di Spoleto-Norcia e Camerino-San Severino Marche, a parlare è stato il nostro vescovo Domenico, che ha definito “una dimenticanza veramente vergognosa” l’eliminazione del pacchetto sisma. “Una prova della superficialità di chi è chiamato a dare risposte e non si accorge che il terremoto è l’emergenza delle emergenze, visto che sono quattro anni che stiamo ‘sotto pressione’”, ha insistito mons. Pompili, giudicando l’accaduto “un errore imperdonabile che tra l’altro accrediterebbe la classe politica come del tutto inaffidabile”.
La dura presa di posizione è suonata inconsueta non tanto per la tematica, su cui anzi la Chiesa locale è stata fin da subito molto attenta, presente e vigile, quanto piuttosto per la scelta di abbandonare il linguaggio della diplomazia e il felpato stile protocollare che di solito accompagnano simili esternazioni. Segno che la pazienza è davvero finita e che l’inconcludenza parolaia ha ormai esaurito ogni capacità di raffreddamento degli animi. Tanto più considerando che le misure proposte erano state concordate con gli amministratori dei comuni del cratere e recepite dal commissario straordinario Giovanni Legnini, cioè dalla persona incaricata dal governo di coordinare la ricostruzione e che l’ex sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi ha per questo accusato di essere stato di fatto sfiduciato dallo stesso esecutivo.
Legnini ha poi cercato di metterci una pezza, riferendo i contenuti di un confronto con il presidente del Consiglio e il suo impegno a inserire nel Decreto Semplificazioni le norme per accelerare la ricostruzione pubblica e privata. Quelle che richiedono una copertura finanziaria, ad esempio per il fabbisogno legato al personale o per la proroga dello stato d’emergenza, dovrebbero al contrario confluire nel provvedimento che sarà emanato subito dopo l’approvazione del nuovo scostamento di bilancio.
Nel Decreto Rilancio prima e in quello Semplificazioni poi, c’è invece finito il raddoppio della Salaria. L’intervento figura addirittura tra le 130 opere strategiche a livello nazionale e potrà contare sui 20 milioni aggiuntivi per la progettazione dell’adeguamento a quattro corsie tra Passo Corese e Osteria Nuova, stanziati con un emendamento di maggioranza presentato alla Camera e votato anche da Paolo Trancassini (FdI).
Per la verità non si tratta di una grossa novità, almeno a livello di annunci. Solo lo scorso 13 febbraio, appena prima quindi dell’avvento dell’era Covid, la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli aveva comunicato al Parlamento la definizione delle 21 opere per le quali il governo aveva deliberato di procedere alla nomina di un commissario allo scopo di velocizzarne la realizzazione. Tra queste la Salaria a quattro corsie nel tratto Passo Corese – Rieti, su cui si era parecchio esposto il deputato del Pd ed ex presidente della Provincia Fabio Melilli. La svolta era stata resa possibile grazie alla concomitante decisione della Regione Lazio di considerare prioritario l’ampliamento della Salaria e della Pontina, tanto che con una nota del 24 gennaio il ministero dei Trasporti aveva comunicato ad Anas la disponibilità di un apposito fondo previsto nel recente contratto di programma per l’ultimazione della progettazione del tratto dal chilometro 56 (Ponte Buita) alla galleria di San Giovanni Reatino.
Quattro giorni prima la Ministra aveva anche notificato la copertura di 130 milioni di euro, assicurati nel Fondo Infrastrutture 2019, con la disponibilità ad integrare la dotazione in caso di necessità. Anas era quindi destinataria delle risorse per 33 interventi di riqualificazione e miglioramento della fruibilità e della sicurezza nel tratto da Passo Corese al confine regionale con le Marche. In questo quadro, nel corso dell’anno era previsto l’appalto dei lavori per 26 milioni di euro relativi agli svincoli di Rieti.
Già qualche mese prima, ad ottobre, rispondendo a un’interpellanza, il sottosegretario al Mit Salvatore Margiotta aveva ufficializzato 150 milioni di fondi nazionali per la messa in sicurezza dell’intera Salaria da Monterotondo ad Ascoli, confermando il finanziamento delle quattro corsie negli otto chilometri più pericolosi in territorio reatino tra Ponte Buita e Ornaro. La cosa sarebbe stata possibile attraverso lo sblocco del Fondo Infrastrutture 2018, preannunciato dal deputato del Movimento 5 stelle Gabriele Lorenzoni nel corso di una conferenza stampa tenuta a Rieti l’8 febbraio 2019. In quella occasione (siamo ancora nel pieno del governo gialloverde), veniva messo in risalto il fatto che molto sarebbe dipeso dalla Regione (a guida Pd) dalla quale ci si attendeva un contributo di 60 milioni di euro previsti per il triennio 2007 – 2009. Di disponibili ce n’erano però appena 14. Con tali fondi l’assessore regionale ai Lavori pubblici Mauro Alessandri assicurava comunque che la Regione stava provvedendo, d’intesa con Anas, a sovvenzionare una serie di interventi propedeutici al più ampio disegno di ammodernamento della strada per eliminare le situazioni di maggiore pericolosità nei pressi di Rieti. Per l’impiego effettivo delle risorse si era tuttavia in attesa dei progetti cantierabili di competenza dell’azienda. Intanto, la stessa Regione aveva interamente finanziato lo svincolo all’incrocio di Passo Corese per un importo di 3,3 milioni, in parte già erogati ad Anas.
Ancora nel 2017 aveva suscitato grandi speranze la visita il 17 ottobre dell’allora ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, giunto in città per la presentazione del Piano di potenziamento della statale e dell’anello ferroviario dell’Appennino centrale. “Il lavoro presentato oggi è già in corso sulla Salaria” dichiarò quel giorno il ministro, allargando il cuore a tutti coloro che non vedevano l’ora di assistere all’avvio dei cantieri. Accanto a lui sedeva il presidente di Anas Gianni Vittorio Armani, che parlò di un piano di potenziamento e riqualificazione per l’antica consolare con la previsione di un investimento complessivo di 650 milioni di euro per l’intero asse, di cui 69,2 per l’adeguamento del tratto tra Ponte Buita e Ornaro e altrettanti (per l’esattezza 69,3) tra Ornaro e San Giovanni Reatino, seppure come previsione di ulteriori fabbisogni.
Sulle cifre e sui relativi capitoli regna insomma una bella confusione, benché il succo di tutti questi discorsi dica che i fondi ci dovrebbero essere. Avvolte nel mistero sono invece le tempistiche, fattore assolutamente dirimente per il buon esito di un’operazione dal sapore ormai epico, tanto più che non si è ancora riusciti a far partire il più banale degli interventi, vale a dire la realizzazione della rotatoria per l’eliminazione del semaforo a Passo Corese.
La storia del raddoppio della Salaria è lunga e comincia ad avere una certa risonanza nel 1996 in occasione della campagna elettorale per le politiche. A confrontarsi per il seggio alla Camera nel collegio uninominale di Rieti scesero in campo Guglielmo Rositani per il Polo per le libertà (centrodestra) e Pietro Carotti per l’Ulivo (centrosinistra). Nei rispettivi programmi particolare importanza aveva il capitolo viabilità e infrastrutture, con il primo concentrato sul potenziamento della ferrovia e il secondo assoluto fautore del raddoppio dell’antica via del Sale. Vinse Carotti, forse anche per questa sua battaglia. A distanza di quasi un quarto di secolo il tema è ancora di attualità e magari l’emergenza sanitaria porterà finalmente a qualche risultato concreto.
Come sempre sarà il tempo a dire l’ultima parola. Quello che adesso non si può fare a meno di notare è che lo sviluppo del nostro territorio sembra inevitabilmente condannato a passare per la calamità di turno. Ieri il terremoto, oggi il coronavirus, resta l’amarezza ossimorica di dover dire grazie alle disgrazie invece che all’azione propulsiva di una politica matura e consapevole.
12_07_20