di Massimo Palozzi - Domenica sera si è conclusa la tredicesima edizione della Fiera Mondiale del Peperoncino e la settimana appena trascorsa è stata inevitabilmente dedicata ai commenti. A giusto titolo entusiastici quelli degli organizzatori. I numeri non sono ancora definitivi ma per eventi e presenze l’edizione di quest’anno ha superato quella del 2023, che pure era stata archiviata come un grande successo. Reatini e turisti hanno apprezzato la manifestazione, anche in considerazione della sua durata. Tanto per dire, il Meeting di atletica leggera coinvolgeva un pubblico numeroso (non solo di appassionati), con la copertura televisiva della Rai e servizi giornalistici degli inviati di mezzo mondo a seguire le imprese degli atleti più quotati del momento. Una kermesse di assoluto rilievo capace di innalzare il prestigio di Rieti a vette di solito sconosciute, contenuta tuttavia nell’arco della sola giornata di gare.
Con la Fiera del Peperoncino le giornate sono state invece cinque, tutte dense di appuntamenti e di attività. Le immagini dell'affollamento nelle piazze che ospitavano gli stand e gli show parlano più di mille parole, anche se qualcosa da ricalibrare rimane. Come ha ammesso lo stesso presidente del comitato organizzatore Livio Rositani, va ad esempio coinvolta la città ben al di là delle ristrette aree del centro storico che sopportano una pressione a tratti eccessiva.
Dettagli a parte, il segreto sta nella capacità di mediare contenuti “alti” (convegni, mostre, conferenze) con lo spettacolo offerto gratuitamente: non solo i concerti e le esibizioni serali di nomi famosi, che hanno sempre fatto il pienone. Pure gli angoli dedicati a danze esotiche, laboratori di cucina e masterclass hanno dato il loro contributo all’insegna di una formula tanto efficace e all’apparenza semplice, quanto in realtà faticosissima da tradurre in patica, perché basata su un’intuizione relativa a un prodotto sostanzialmente estraneo alla cultura e alla tradizione locali.
Rieti non è certo nota nel mondo per i suoi peperoncini. Per come è allestita, la manifestazione avrebbe riscosso con ogni probabilità lo stesso successo se fosse stata dedicata al pistacchio o al cappero. L’idea di fondo è stata infatti prendere un prodotto qualsiasi e costruirci intorno un evento. Un’operazione abile, ma con inevitabili margini di criticità. La figura del protagonista con il tempo è andata infatti marginalizzandosi. La perdita di centralità del peperoncino a favore di esibizioni canore e street food di varia declinazione è un aspetto che in questa edizione è emerso in maniera piuttosto evidente, pur non intaccando la straordinaria riuscita della Fiera sul piano dell’attrattività.
Tanto premesso, veniamo alle immancabili implicazioni politiche. Martedì il Pd è uscito con diversi suoi esponenti per fare i complimenti agli organizzatori, ma soprattutto per ammonire a non etichettare politicamente la Festa del Peperoncino. Senz’altro positivo l’apprezzamento nei confronti di chi da anni allestisce con sempre maggiore successo Rieti Cuore Piccante, mentre un po’ goffo è risultato il richiamo a non mettere il cappello sulla manifestazione.
La genesi della Fiera del Peperoncino è infatti tutta ascrivibile a Guglielmo Rositani, politico di lungo corso piazzato sempre a destra, dal Movimento sociale ad Alleanza nazionale, che forse memore delle sue esperienze di organizzatore per lunghi anni all’ex zuccherificio della Festa nazionale del Secolo (il giornale del suo partito), ha voluto riproporre un format abbastanza simile, anche se non così caratterizzato politicamente. Non è un caso che il protagonista sia il peperoncino, prodotto principe di quella Calabria di cui Rositani è originario. Così come non è un caso che il presidente del comitato organizzatore sia suo figlio Livio. Mettiamoci pure che dal 2011, anno della prima edizione, il Comune è stato per lo più governato dalla destra e il quadro è completo. Quindi, è vero che si tratta di una manifestazione apartitica che coinvolge diverse istituzioni pubbliche e private della città. Ma altrettanto innegabili sono la sua origine e soprattutto la sua matrice.
Un discorso diverso va invece fatto per l’avvio del corso di laurea in Medicina annunciato lunedì, dopo che l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (Anvur) ha accolto la proposta della Sapienza per l’attivazione del nuovo corso presso il Polo reatino, in un’ottica di decentramento dell’offerta didattica (uno degli obiettivi di governo dell’Ateneo, come ha chiarito la rettrice Antonella Polimeni).
La filiera di governo Comune – Provincia – Regione – Parlamento si è buttata a pesce sulla notizia per rivendicare meriti però solo in parte ascrivibili a quel raggruppamento. Se infatti il risultato è stato finalizzato proprio adesso sotto l’egemonia politica della destra, il percorso per raggiungerlo è partito dal protocollo d’intesa siglato tra Università e Regione Lazio durante la scorsa legislatura targata centrosinistra. Ed ha potuto concretizzarsi anche tenendo conto del lavoro svolto in parlamento con il decisivo contributo dell’ex deputato Pd Fabio Melilli a proposito del nuovo ospedale e del suo progetto di clinicizzazione.
L’annuncio del prossimo avvio dei cantieri per il recupero dell’ospedale vecchio da destinare a sede dei nuovi corsi in ambito sanitario, fatto sempre in settimana dall’assessore regionale ai Lavori pubblici Manuela Rinaldi, è infine un ulteriore tassello di crescita della città. Importante perché da una parte garantisce spazi adeguati alla docenza, mentre dall’altra sottrae a un insopportabile degrado un pregevole patrimonio edilizio nel cuore di Rieti.
08-09-2024