di Massimo Palozzi - Mercoledì, vigilia della festa di Sant'Antonio, il vescovo Vito Piccinonna ha rivolto ai fedeli un’omelia dal taglio non convenzionale in occasione della Celebrazione eucaristica di apertura dei festeggiamenti per il Giugno Antoniano Reatino.
Innanzitutto ha rispettato il limite suggerito da papa Francesco come durata massima delle prediche. “Un’omelia” - aveva detto il pontefice proprio mercoledì - “non deve andare oltre gli otto minuti perché dopo quel tempo si perde l’attenzione e la gente si addormenta”.
Nota di colore a parte, il discorso di monsignor Piccinonna si è sviluppato partendo da uno spunto per sua stessa ammissione all’apparenza trascurabile, ma in realtà denso di significati. “Mentre pensavo a questa celebrazione in onore del nostro Santo e meditavo sui brani della Sacra Scrittura proposti” – ha spiegato il presule – “rileggevo alcune notizie agiografiche e la mia attenzione è caduta, prima in maniera superficiale poi più curiosa, su questa annotazione: Antonio è invocato spesso per ritrovare le cose perdute. Mi è parsa un’annotazione molto marginale ma pian piano ha destato in me interesse e vorrei che diventasse motivo di preghiera, di ricerca, di spiritualità per tutti quanti noi, a partire da oggi e magari oltre il Giugno Antoniano”.
Tre le piste di riflessione proposte, relative ad altrettante perdite: “Abbiamo perso le parole” (bellissimo il passaggio: “Pronunciamo parole che non parlano più”); “Abbiamo perso in umanità”; “Abbiamo perso Gesù”.
Scendendo dall’elevatezza dell’omelia vescovile, la provocazione appare perfetta per fare il punto sulle cose perdute della nostra vita associata.
Intanto possiamo dire di aver perso quel po’ d’innocenza che la dimensione defilata di una piccola città e di una piccola provincia avevano finora garantito. Non sempre piccolo è bello e la retorica dell’isola felice già da tempo mostrava segni di logoramento: le scarse possibilità di realizzazione professionale, le limitatissime dotazioni infrastrutturali o le ridotte opportunità in termini di offerta culturale hanno sempre rappresentato fattori penalizzanti. Però è innegabile che l’aria buona, l’acqua pulita, il traffico scarso di una città a misura d’uomo, tanto per proseguire sulla via dei luoghi comuni, hanno sempre avuto un peso determinante nell’innalzamento del livello di gradimento popolare.
Con l’innocenza se n’è andata buona parte della sicurezza, reale e percepita. Le statistiche ancora ci premiamo come un territorio tutto sommato avulso da fenomeni criminali di rilievo, ma il trend è in crescita, così come l’apprensione e quell’indefinibile senso di ansia che ormai si è insinuato nella coscienza collettiva. E non vale certo a mitigare la sensazione di insicurezza il confronto con territori ben più sofferenti su questo versante: il paragone vero va fatto con lo status quo ante, con quello che c’era prima e ora non c’è più.
Abbiamo quindi perso certezze. Per il futuro, ma anche per il presente. L’atavico isolamento della città più interna d’Italia pareva godere di un minimo di sollievo grazie ai fondi del Pnrr e agli stanziamenti collegati. Purtroppo le cose stanno in maniera molto diversa. Mercoledì il sindaco Daniele Sinibaldi si è visto costretto ad un sopralluogo al ponte sul Turano per incontrare un gruppo di residenti e commercianti delle aree dove verrà aperto lo svincolo ANAS Macelletto/Tancia. Il ponte è stato chiuso già da un mese per costruirne uno nuovo al suo posto ma del cantiere non c’è ancora traccia, mentre aumentano gli inconvenienti per gli abitanti e gli operatori economici.
Secondo gli impegni formalmente assunti da ANAS, l’intervento dovrebbe terminare entro il prossimo 31 dicembre, ma a questo punto la preoccupazione è che i tempi si dilatino. Perciò il sindaco ha comunicato di aver “chiesto un incontro urgente per avere i dettagli sul cronoprogramma dei lavori. Se ci dovessero essere ritardi chiederò di rivalutare l’apertura parziale”.
Il ponte sul Turano e il nuovo ponte ferroviario sono due infrastrutture strategiche nell’ampio ventaglio di opere stradali che da tempo stanno rivoluzionando la viabilità cittadina. Opere che al momento si segnalano però solo per disordine e disagi. Nei tratti interessati dai lavori, la Salaria per Roma è difficilmente percorribile. Le gallerie di San Giovanni Reatino sono ormai una scommessa persa (tanto per rimanere in tema). Le minirotatorie dentro Rieti, come quella all’altezza della caserma dei Vigili del Fuoco o quella all’imbocco della salita di Campomoro, sembrano fatte apposta per complicare la vita agli automobilisti. Si dirà: si tratta di un male necessario, degli inevitabili fastidi portati dai cantieri prima dei miglioramenti promessi. Giusto, se non fosse che alcune di queste opere sono già definitive (vogliamo parlare della rotatoria di Borgo Santa Maria?) e che comunque un’adeguata preparazione avrebbe per lo meno attutito l’impatto delle difficoltà riversate invece in maniera cieca sugli utenti e gli abitanti di Rieti.
Adesso occorre solo non perdere la speranza e quel pizzico di fiducia nelle umane capacità di riscatto. Altrimenti, la prossima omelia sarà un de profundis.
16-06-2024
foto Chiesa di Rieti