a cura di Massimo Palozzi

Luglio 2022

IL DOMENICALE

RIETI CITTÀ UNIVERSITARIA?

città, politica, università

 

di Massimo Palozzi - No, Rieti non è una città universitaria. Almeno non ancora. Restando nei dintorni, Roma è una città universitaria. Perugia è una città universitaria. L’Aquila è una città universitaria. Viterbo è una città universitaria. Rieti no e va detto senza ipocrisia. I toni trionfalistici con cui nei giorni scorsi è stata annunciata la prossima conquista dello status sognato da almeno trent’anni erano evidentemente eccessivi. Giustificati forse dall’euforia dopo un tempo lunghissimo di scetticismo e aspettative frustrate e pur tuttavia poco aderenti alla situazione concreta. I passi avanti compiuti verso il rafforzamento della presenza accademica nel capoluogo sono innegabili e meritano la massima considerazione. Ma quando i verbi sono declinati al futuro, la prudenza s’impone.

“Anche Rieti avrà certamente una sua università e non convenzioni a pagamento. Questa è la notizia importante”. A diffonderla è stato martedì il presidente della Sabina Universitas Antonio D’Onofrio al termine dell’assemblea dei soci convocata per l’approvazione del bilancio 2020-2021. “Sono in arrivo 10 milioni di euro per un bando regionale al quale partecipano le università di Tuscia e Sapienza, con una sede propria a Rieti. A settembre tornerà il corso di Ingegneria in italiano, il corso di Economia circolare, oggi tema molto attuale, e il raddoppio delle para-lauree (da 4 a 8). C’è anche la costituzione di un centro di ricerca posto all’Asi per 14 milioni di euro, ed il tutto arriverà nella nostra città nei prossimi due anni”. Parole sempre dell’ex presidente della Fondazione Varrone, accompagnate dalla previsione di un numero di studenti iscritti al prossimo anno accademico quadruplo rispetto all’attuale. Uno scenario entusiasmante, insomma. “Alcuni corsi partiranno a settembre, altri nel settembre 2023”, ha poi precisato il sindaco Daniele Sinibaldi senza dimenticare di rivendicare come “insieme a tutte le istituzioni abbiamo dato avvio al potenziamento dell’offerta formativa sul territorio”. Ancor più netta la posizione del presidente della Provincia Mariano Calisse, per il quale “oggi possiamo dire in maniera diretta che Rieti avrà una sua università”.

Le cose stanno proprio così? Rispetto al passato, la professione di ottimismo qualche fondamento ce l’ha. Le prospettive che si stanno aprendo “grazie” alla micidiale combinazione di disgrazie (terremoto-crisi economica-Covid) autorizzano a guardare con occhi diversi il futuro di Rieti, a patto però di ricondurre tutto alla sua dimensione autentica.

Il primo, fondamentale passaggio da sottolineare è il ruolo in via di superamento del Consorzio Sabina Universitas che finora ha costituito lo strumento per coordinare la presenza e gli investimenti delle due università presenti a Rieti: la viterbese Tuscia e la romana Sapienza. Due atenei disancorati per storia e tradizione dal territorio reatino e che solo in virtù di qualche buona relazione e con il sostegno economico garantito dal Consorzio (sempre con maggiori difficoltà) hanno dirottato in città alcuni corsi di laurea.

Ora si sta assistendo a un rovesciamento di fronte: le università non si stabiliranno più a Rieti dietro pagamento con fondi locali. Verranno sulla scorta di finanziamenti di altra natura, legati ai cospicui stanziamenti statali e regionali varati per contrastare gli effetti delle diverse calamità che hanno colpito il comprensorio. I flussi di denaro previsti in arrivo sono infatti tanti e differenziati, sia come origine che come vincolo di destinazione. Il rischio che si faccia confusione è di conseguenza molto elevato, per cui vale la pena riportare le cose su un piano di realtà.

A rimettere un po’ d’ordine nella comunicazione di questi ultimi giorni ci ha pensato il deputato Pd Fabio Melilli, nel corso di una conferenza stampa tenuta giovedì pomeriggio.

Tanto per cominciare, “questa non è una città universitaria, ma ha sempre ospitato una università”, ha per l’appunto dichiarato il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio.

“Oggi dobbiamo fare in modo che l’università stia nel capoluogo con finanziamenti pluriennali e che le stesse università rimangano nel territorio. Perché qui non parliamo solo di insegnamenti e lezioni, ma di una presenza dentro un tessuto sociale”. Quindi, “ci avviamo su una strada che porta a un rafforzamento dell’università a Rieti”. Ed eccoci al punto. Siamo ancora in cammino, lungo un itinerario per niente facile né breve, a cominciare dal reperimento di spazi idonei per la didattica. Appare chiaro che la recente inaugurazione della sede nel restaurato Palazzo Aluffi in via Cintia non basta a soddisfare le esigenze in termini di aule e laboratori.  Naturalmente ogni approdo necessita di una partenza, per cui è bene che si sia avviato un percorso che ha tutti i numeri per essere virtuoso, per di più con il conforto di un’unità d’intenti a prescindere dalle appartenenze politiche. Dobbiamo in ogni caso essere consapevoli che di questo si tratta. Del resto, le insidie sono molte, nascoste perfino nei cavilli normativi.

Tuscia e Sapienza non sono i due soli soggetti interessati a partecipare ai bandi sovvenzionati attraverso i vari provvedimenti. Come ha ricordato Melilli, la prima iniziativa fu un suo emendamento per dotare le aree terremotate di 15 milioni di euro per ogni regione del cratere (senza alcuna proporzione per non penalizzare Rieti), allo scopo di potenziare l’offerta formativa universitaria, la ricerca, e l’avviamento di nuove imprese. Poi è arrivato il Pnrr, accompagnato dal Fondo complementare per un ammontare complessivo di oltre un miliardo di euro. Con questa misura la ricerca e il trasferimento tecnologico sono destinatari di finanziamenti già messi a bando. Solo che, ha svelato Melilli, “il ministero del Sud, invece di scrivere alle università ‘del’ cratere ha scritto alle università ‘nel’ cratere”. Una consonante di differenza che ha modificato non solo una preposizione ma tutto il senso del discorso, tanto che stanno presentando progetti a Rieti anche università estranee al territorio come quella de L’Aquila. Melilli ha precisato di aver interessato la ministra Mara Carfagna, ricevendo assicurazioni che se i bandi dovessero riservare fondi a università non presenti nel Reatino, la stessa ministra interverrebbe. Come e con quali garanzie è però difficile da pronosticare, tanto più nel pieno di una crisi politica che minaccia seriamente la tenuta del governo e la scadenza naturale della legislatura.

Il commissario al sisma Giovanni Legnini ha successivamente finanziato la costruzione di centri di ricerca. A Rieti l’accordo vale 14 milioni ed è stato firmato la settimana scorsa. Nel frattempo, uno dei bandi del Pnrr istituisce uno dei cinque Campioni nazionali di ricerca, costituiti in hub con una dotazione finanziaria di centinaia di milioni di euro. Tra i prescelti dal governo, ha spiegato sempre Melilli, c’è quello specializzato in agricoltura promosso dall’Università di Napoli. La stessa università doveva individuare gli spoke, cioè le articolazioni periferiche, e così Rieti, insieme a Viterbo, è stata inserita nel progetto. In forza di questa organizzazione, a Rieti avrà sede l’unico centro che si occuperà di zootecnia, che a sua volta rappresenta uno degli assi più rilevanti delle aree interne.

“Adesso” – ha concluso il parlamentare – “manca l’ultimo piccolo tassello. Prima del 2018 ci facemmo dare dal Cipe un fondo per la ricerca nell’Istituto Strampelli. Si fermò tutto perché la struttura non era agibile (il perché non sia stato ristrutturato nonostante ci siano i fondi non lo so). Allora il progetto si è spostato al Nucleo industriale dove le attrezzature sono già arrivate. Si farà ricerca sull’olio con una operazione di cofinanziamento dove la Regione Lazio ha messo altri tre milioni di euro. Anche il Consorzio industriale ha fatto altri investimenti per ristrutturare nuove aule”.

Questo, insomma, è lo stato dell’arte per quanto riguarda l’università, tra aumento dei corsi (e relativi studenti) e finanziamenti disponibili. Di carne al fuoco ce n’è parecchia. Va solo tenuto conto che l’attrazione verso il capoluogo sabino delle università circostanti è totalmente dipendente dai soldi messi sul piatto dallo Stato e dalla Regione: finché durano si potrà parlare di sviluppo, dopodiché si apre una grossa incognita, dove un ruolo fondamentale lo giocherà la capacità degli attori locali di mantenere un polo universitario di livello.

La seconda riflessione riguarda la composizione di questo polo: Viterbo, Roma, L’Aquila, Napoli e poi chissà chi altro. È evidente che si tratta del convogliamento piuttosto eterogeneo di atenei autonomi e distinti nelle offerte didattiche come nei rispettivi criteri gestionali. Non sarà facile tenerli insieme a lungo in un sistema qualitativamente coerente. Per il momento, accontentiamoci comunque di questo risveglio.

 

17–07-2022

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